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Le culture storiche hanno sempre mantenuto con la natura un rapporto armonico e propiziatorio.

Ma la modernità ha segnato la rottura dell’antica alleanza, l’avvento di una cultura separatrice, nata dalla contrapposizione tra “res cogitans” e “res extensa”, tra il mondo della scienza e quello della vita. La manipolazione illimitata dell’ordine naturale presupponeva necessariamente la prevedibilità matematica, la desacralizzazione di una biosfera ridotta a sterile “ambiente”, magazzino di risorse di cui poter disporre in libertà da vincoli fisici ed etici. Assoggettata a interessi e a regole tecniche estranee alla sua irriducibile complessità, la natura viva (che custodisce nel cuore di ogni cellula la norma archetipale della creazione, conservazione ed evoluzione del vivente) è andata degradando negli ultimi decenni sotto il peso della crescente aggressione tecnologica. Inquinamento, erosione e necrosi della biosfera, disgregazione socioculturale danno chiara la misura della distanza che separa la razionalità tecnico-scientifica dalla realtà naturale.

Se non che le premesse epistemologiche della scienza semplificatrice sono crollate. Mentre la fisica pone limiti invalicabili alla prevedibilità dei sistemi complessi, la biologia cellulare rivela l’essenza simbiotica e cooperativa sottesa alla fenomenologia di tutte le creature, integrate in un placentare microcosmo germinativo, matrice universale di ogni forma di vita. E tuttavia sfugge al dominio della scienza il punto essenziale della biogenesi, là dove miriadi di molecole abiotiche, particolari flussi energetici ed effetti di campo convergono selettivamente in una coerente dinamica auto-organizzatrice, morfogenetica omeostatica, che annoda essere e divenire in un unico palpitante tessuto di messaggi formativi. Un tessuto in cui anche l’uomo è compreso, nella sua incommensurabile originalità.

Il risveglio metafisico della scienza impone una profonda conversione culturale, mostrando l’insostenibilità di una visione materialistica della natura, disintegrante perché inadatta ad interedere i finalistici vincoli unitivi cui la vita deve per intero la propria capacità di resistere attivamente al caos. Chi non ha religione alcuna — ha scritto Michel Serres — non deve dirsi ateo o miscredente ma negligente.

Aldo Sacchetti